TFR

TFR: perché può essere (anche) un problema per anticipare la pensione nel 2025

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è parte della retribuzione del dipendente, solo differita nel tempo: si accantona anno dopo anno e di norma si liquida alla cessazione del rapporto di lavoro (art. 2120 c.c.).

Dal 2007 ogni lavoratore dipendente deve decidere se lasciare il TFR in azienda o destinarlo a un fondo pensione; in assenza di scelta, scatta il meccanismo di silenzio-assenso con conferimento automatico alla previdenza complementare (art. 8, d.lgs. 252/2005).

Come si calcola e come si rivaluta il TFR

L’accantonamento annuo è pari a retribuzione annua / 13,5; la rivalutazione è data da 1,5% fisso + 75% dell’aumento dell’indice FOI (prezzi al consumo ex ISTAT). Alla liquidazione si applica la tassazione separata (art. 17 TUIR).

Sono ammesse anticipazioni fino al 70% per spese sanitarie, acquisto prima casa o specifici congedi (art. 7 l. 53/2000; circ. Min. Lavoro 85/2000).

TFR e previdenza complementare: perché la scelta conta

Conferire il TFR a un fondo pensione apre leve che il TFR “in azienda” non offre o offre con minore flessibilità:

  • Anticipazioni: dopo 8 anni di iscrizione è possibile richiedere fino al 30% per esigenze personali o fino al 75% per prima casa/spese sanitarie.
  • RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata): consente di trasformare il montante (anche TFR) in una rendita fino a 10 anni prima della pensione di vecchiaia, fungendo da “ponte” verso il ritiro.
  • Fisco: le prestazioni dei fondi pensione sono tassate in modo agevolato, con aliquota che scende dal 15% fino al 9% al crescere degli anni di partecipazione, contro la tassazione separata (minimo 23%) del TFR tenuto in azienda.

Pro e contro a confronto

Se lasci il TFR in azienda, alla fine del rapporto avrai una liquidazione immediata e integrale: è l’opzione più semplice da comprendere e da gestire. Di contro, i rendimenti sono in genere modesti e la tassazione separata può risultare più onerosa; inoltre, le anticipazioni sono più limitate e non esiste la possibilità di trasformare il capitale in una rendita “ponte” verso la pensione.

Se invece destini il TFR a un fondo pensione, guadagni maggiore flessibilità: dopo un certo periodo di partecipazione puoi ottenere anticipazioni più ampie, benefici di agevolazioni fiscali (con aliquota che può scendere nel tempo) e, soprattutto, puoi attivare la RITA per accompagnare in modo graduale l’uscita dal lavoro. Il rovescio della medaglia è il vincolo temporale: salvo casi specifici, le somme sono orientate al pensionamento, e qualcuno può percepirlo come una perdita di disponibilità immediata.

Perché molti diffidano ancora della devoluzione al fondo

Le resistenze sono culturali e pratiche: gli imprenditori temono minor liquidità; i lavoratori associano la previdenza integrativa all’idea di “bloccare i soldi” o riceverli solo come piccola rendita. Ma questo scetticismo spesso ignora lo scenario: carriere discontinue, salari bassi e passaggio al calcolo contributivo comprimono la pensione pubblica; la previdenza complementare diventa quindi una leva strutturale per integrare l’assegno futuro.

 

Il punto critico non è (solo) la norma, ma l’educazione finanziaria: senza consapevolezza, il TFR resta un “paracadute” di fine carriera; con una strategia, diventa motore della pensione integrativa.

Il dibattito sull’obbligo: soluzione facile, problemi difficili

Rendere obbligatoria la devoluzione del TFR ai fondi pensione sarebbe una scorciatoia “a costo zero” per i conti pubblici, ma rischia di alimentare diffidenza e conflitti. La vera leva è informare: decisioni libere, ma informate, rispetto a obiettivi di vita, orizzonte temporale, rischio tollerato e fiscalità personale.

Come orientare la scelta: ecco una check-list rapida!

  1. Orizzonte: quanto manca alla pensione? Se sono molti anni, i benefici fiscali e composti possono pesare di più.
  2. Bisogni di liquidità: prevedo spese straordinarie? Valuto le anticipazioni disponibili oggi e domani (azienda vs fondo).
  3. Fiscalità: confronto tassazione separata del TFR con l’aliquota agevolata dei fondi, in proiezione.
  4. Gestione del rischio: conosco i comparti del mio fondo (garantito, obbligazionario, bilanciato, azionario) e la mia tolleranza al rischio?
  5. Ponte alla pensione: la RITA può aiutarmi a uscire gradualmente mantenendo un’entrata mensile?

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Leggi anche: “Contributi insufficienti per la pensione? Ecco cosa fare!”

Domane e risposte più comuni

1. Posso chiedere anticipi sul TFR in azienda?

Sì: fino al 70% per spese sanitarie, acquisto prima casa o specifici congedi, nei limiti di legge e con requisiti; la tassazione resta quella del TFR (separata).

2. Nel fondo pensione ho più flessibilità sugli anticipi?

In generale : dopo 8 anni di partecipazione si può chiedere fino al 30% per esigenze personali e fino al 75% per casa/salute.

3. La RITA vale per tutti?

È legata a precise condizioni (distanza dalla pensione di vecchiaia, cessazione attività, ecc.). La logica è erogare una rendita temporanea fino alla maturazione del diritto alla vecchiaia.

4. È vero che la tassazione del fondo è più bassa?

Sì: aliquota agevolata sulle prestazioni (dal 15% al 9%) in base agli anni di partecipazione, a fronte della tassazione separata del TFR in azienda.

Il TFR può restare una liquidazione “parcheggiata” oppure diventare il cuore di una strategia previdenziale, specie se affiancato a versamenti volontari. La scelta giusta dipende dal tuo profilo e dai tuoi obiettivi: età, reddito, rischio, bisogni di liquidità e pianificazione dell’uscita.

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